Il 5 aprile del 1846 un giovane don Bosco piange.
È pomeriggio, la giornata sta per concludersi, i ragazzi stanno giocando nel prato davanti a lui ma lui non sa dove dargli appuntamento per la domenica successiva. È da mesi ormai che il suo oratorio è itinerante passando ripetutamente di casa in prato; lo schiamazzare del gioco dei ragazzi, infatti, è motivo di disturbo per i vicini e la loro presenza è indesiderata.
Ma leggiamo dalla viva parola di don Bosco quegli attimi:
Ritiratomi pertanto in disparte, mi posi a passeggiare da solo e forse per la prima volta mi sentii commosso fino alle lacrime. Passeggiando e alzando gli occhi al Cielo, «mio Dio,- esclamai – perché non mi fate vedere il luogo in cui volete che io riunisca questi ragazzi? O fatemelo conoscere o ditemi quello che devo fare?»
Concludevo questi pensieri, quando mi avvicinò un tale, di nome Pancrazio Soave che balbettando mi disse:
— È vero che cerca un luogo per fare un laboratorio?
— Non un laboratorio, ma un Oratorio.
— Non so se sia lo stesso Oratorio o laboratorio; ma un luogo c’è, lo venga a vedere. È di proprietà del signor Giuseppe Pinardi, onesta persona. Venga e farà un buon contratto.
Non cercai di più. Corsi subito dai miei giovani; li raccolsi intorno a me e ad alta voce mi posi a gridare: — Coraggio, miei figli, abbiamo un Oratorio più stabile del passato; avremo la chiesa, la sacristia, le stanze per le scuole, il cortile per la ricreazione. Domenica, domenica andremo nel nuovo Oratorio che è là, in casa Pinardi. E mostravo loro il luogo.
La Domenica seguente solennità di Pasqua nel giorno 12 di Aprile, si trasportarono là tutti gli oggetti della chiesa e della ricreazione, e andammo a prendere possesso del nuovo oratorio.
Per i cristiani, la Pasqua, che celebra la passione, morte e resurrezione di Cristo è certamente la festa centrale dell’anno liturgico; nella nostra tradizione salesiana si arricchisce di questo episodio significativo e determinante nella storia di don Bosco e dei giovani di allora e di oggi.
Da quel 12 aprile del 1846, infatti, quella intuizione di bene che don Bosco aveva avuto per i giovani e che lo porta a vivere fino all’ultimo respiro per il loro futuro e per la salvezza della loro anima, trova un luogo stabile in cui svilupparsi! Il modo, invece, in cui esso si sviluppa, ha tutti i tratti della Pasqua: la gioia, l’ottimismo, la speranza.
Don Bosco infatti è il santo della gioia di vivere e i suoi ragazzi hanno imparato così bene la lezione, da dire con linguaggio tipicamente “oratoriano” che «la santità consiste nello stare molto allegri». Ai giovani emarginati del suo tempo don Bosco presentò la possibilità di sperimentare la vita come festa e la fede come felicità.
La musica, il teatro, le gite, lo sport, la quotidiana allegria di un cortile sono stati sempre valorizzati dalla pedagogia salesiana come elementi educativi di primaria importanza. Suscitano numerose energie di bene, che saranno orientate verso un impegno di servizio e di carità.
La festa salesiana non è mai manifestazione di un vuoto interiore alla ricerca di compensazioni; né l’occasione di distrarre dalla realtà spesso dura e perciò da rifuggire. È invece occasione per costruire amicizia, e sviluppare quanto di positivo c’è nei giovani. Per Don Bosco, infine, la fonte della gioia è la vita di grazia, che impegna il giovane in un difficile tirocinio di ascesi e di bontà.
Auguriamoci quindi una Buona Pasqua di speranza, gioia e ottimismo, nella certezza che questi sono i doni che ci vengono restituiti con abbondanza nella misura in cui scegliamo di prendere in mano la nostra vita e metterci in gioco!