Quante volte, da bambini, abbiamo risposto che da grandi avremmo voluto fare qualcosa a cui poi non ci siamo quasi mai dedicati? O a cui, forse, ci è stato impedito di dedicarci per diversi motivi. Quando chiediamo ad un bambino ‘cosa vuoi fare da grande?’, spesso arrivano le risposte più disparate: indicazioni di molteplici tipi di lavori che vanno da quelli più creativi e manuali ad altri più scientifici o umanistici. Poi le idee cambiano, i sogni si trasformano…ed è assolutamente normale e corretto, ma, a volte, tutto ciò si verifica perché, quando il bambino diventa adolescente, ha già acquisito schemi mentali elaborati dalla famiglia, dalla scuola, dalla religione, dall’ambiente in cui vive, dai mass media e dalla società. È influenzato dalle idee e dai pensieri delle persone che frequenta e che rappresentano per lui dei modelli di riferimento. Non è quindi più possibile dare le stesse risposte: non sarebbero capite, non sarebbero allineate al contesto in cui si vive, quei pensieri e sogni da bambini non sono sostenibili nella realtà in cui viviamo. Ed è allora che i ragazzi sprofondano nel baratro dell’omologazione, non rispondono più, sono confusi, non sanno cosa dire e si adattano a ciò che la società richiede.
Più ci ricopriamo di etichette e di definizioni, più rimaniamo imbrigliati in quel ruolo e crediamo sempre più di essere bravi solo in quello che facciamo da molto tempo, di essere super esperti solo in ciò per cui ci siamo specializzati. Questa situazione, tuttavia, può essere per tantissime persone un’occasione per seguire un loro percorso di ‘rinascita’. Perché ‘rinascita’? Perché hanno avuto, nel dolore di aver perso la loro strada, la grande opportunità di mettersi in gioco, di riscoprirsi, di scoprire nuovi lati di sé, di risvegliare passioni sopite, di dedicare tempo a ciò che le rende felici e di sviluppare nuovi talenti e competenze; un percorso difficile proprio perché non sapevano da dove cominciare, perché erano attaccate alle etichette, ai ruoli ricoperti per troppi anni, al prestigio dato solo da ciò che era già scritto.
Quando invece ti chiedi “chi voglio essere da grande?”, stai guardando dentro di te, stai esplorando il tuo essere, sviluppi maggiore auto-consapevolezza, vai in profondità per scoprire te stesso in tutta la tua splendida autenticità. L’essere grandi non ha a che fare con l’età, ha a che vedere con il tuo stato evolutivo, con la versione migliore, positiva e compiuta di te. Questo percorso può iniziare ad ogni età perché non c’è un tempo migliore di un altro per migliorarsi.
Anche un adolescente ha il diritto e il dovere di porsi questa domanda, provando a comprendere chi è. Magari non gli sarà subito chiaro, a quell’età sarebbe normale, ma ciò non vuol dire che non lo debba fare. Cosa può succedere di così irreparabile? Potrebbe commettere un errore di valutazione, potrebbe cadere, ma potrebbe anche capire cosa non gli piace fare e ritentare. Il fallimento va compreso, non deve essere vissuto come una paura ma come un’eventuale opportunità. Questa è un’altra etichetta che andrebbe tolta dalla nostra società fatta di modelli ideali e di una continua ricerca di cos’è giusto o sbagliato, dimenticando ciò che invece ciò che è funzionale o disfunzionale per ciascuno di noi.
È meglio imparare presto a cadere e a sapersi rialzare, piuttosto che fare tante scelte “giuste” per altri, diventare adulti, non farcela più, crollare sul serio e non avere gli strumenti per risollevarsi.
Allora sì che sarebbe un problema!
Se ti sei perso la prima parte del nostro approfondimento, puoi trovarla qui!